Colpi di pistola a Cavaria: chiude la sala giochi, ma il problema resta aperto
- ventisette.info

- 7 ott
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Benvenuti a Cavaria con Premezzo, ridente comune del Varesotto dove il tempo sembra essersi fermato… ma solo per chi ha dimenticato di aggiornare il calendario al Far West.

Il 27 settembre scorso, in una sala giochi del paese, due colpi di pistola hanno interrotto l’ordinaria routine di grattini e birrette. Un uomo è stato raggiunto alle gambe da una scarica di piombo ben poco metaforica, lasciando una scia di sangue e domande a cui nessuno sembra voler rispondere davvero.
A mettere un punto – temporaneo – alla vicenda ci ha pensato il Questore Carlo Mazza, che ha ordinato la chiusura del locale per 20 giorni. Un gesto dovuto, forse inevitabile. Ma anche qui, la toppa rischia di essere più elegante dei pantaloni strappati.
La solita "clientela"
Secondo quanto accertato dalla Polizia di Stato, e confermato dai controlli dei Carabinieri di Cassano Magnago, il locale non era esattamente un circolo per filatelici. Pare fosse frequentato con una certa regolarità da personaggi "già noti", abili nel sollevare il gomito quanto nel farlo anche con le mani – o peggio, con le armi.
Insomma, si tratta del classico bar da "paese", dove l’unico certificato richiesto all’ingresso sembra essere il casellario giudiziale. E quando un posto diventa la succursale dell'anagrafe penale, forse è il caso di chiedersi non tanto perché chiuda per 20 giorni, ma come mai fosse ancora aperto dopo il primo stop del 2019.
Ah, già: all’epoca era stato chiuso per 10 giorni, sempre per "turbativa dell’ordine pubblico". Evidentemente, l’aria buona della provincia non basta più a tenere lontani i cattivi pensieri (e i cattivi frequentatori).
L’elefante nella sala (giochi)
Ora, intendiamoci: il problema non è la sala giochi. Né il bar. Né il biliardino, né i gratta e vinci. Il problema è il solito elefante in mezzo alla stanza, che tutti vedono ma pochi nominano, forse per non sembrare troppo "giudicanti".
Eppure, quando un locale diventa un punto fisso per pregiudicati e ubriachi molesti, ci si potrebbe anche domandare se certi contesti non attraggano un certo tipo di clientela, o se viceversa non siano proprio tolleranza e lassismo ad aver aperto le porte a tutto questo.
Ma meglio non dirlo troppo forte. In certi ambienti, la parola "ordine" fa storcere il naso, e "sicurezza" sembra quasi una bestemmia. Meglio parlare di "integrazione", anche quando si tratta di integrare il codice penale nel menu del bar.
La soluzione? Forse serve memoria, non solo misure
Chiudere per 20 giorni è un segnale. Ma se tra tre settimane il locale riapre e ricomincia tutto da capo, allora è solo un segnale di fumo. E non ci riferiamo a quello delle sigarette.
Forse è tempo di ricordare che la sicurezza non nasce dai divieti postumi, ma da una cultura del rispetto e della legalità coltivata giorno per giorno. Anche nei bar, anche nei paesi, anche dove "tanto ci conosciamo tutti".
Anche dove, se ti siedi al tavolo sbagliato, rischi che qualcuno ti spari alle gambe.




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