SANITÀ LOMBARDA: L’EMERGENZA È FIGLIA DI UNDICI ANNI DI TAGLI, MA QUALCUNO ORA CI METTE LA FACCIA
- ventisette.info

- 28 ott
- Tempo di lettura: 2 min
C’è chi parla, e chi fa.E in Lombardia, in questo momento, si fa. Mentre Roma arranca tra conferenze stampa e parole d’ordinanza, Attilio Fontana e la sua squadra hanno scelto la via più semplice — e più difficile al tempo stesso: rimboccarsi le maniche.

La notizia è nota: la Regione ha aperto le porte a infermieri provenienti dall’estero per tamponare una carenza che non nasce ieri, né l’altro ieri. È il risultato di undici anni di tagli lineari alla sanità, di “razionalizzazioni” decise da chi, nel frattempo, predicava solidarietà e finiva per lasciare i reparti scoperti. Ora che il sistema scricchiola, tocca a chi governa la regione più produttiva d’Italia trovare soluzioni immediate.
Sì, immediate. Perché mentre si discute di riforme strutturali (che servono, eccome), i malati non aspettano e i turni negli ospedali si coprono giorno per giorno.
Albani: il realismo di chi conosce il mestiere
In questo contesto si alza una voce che vale doppio. Quella di Alessandro Albani, assessore al Comune di Busto Arsizio, segretario della Lega e — dettaglio non trascurabile — infermiere di professione. Albani non parla per sentito dire: sa cosa significa lavorare con un organico ridotto e stipendi che non tengono il passo con il costo della vita.
Non condanna l’iniziativa della Regione, anzi. Ricorda di aver accolto sei infermiere da El Salvador lo scorso giugno, “professioniste preparate, rispettose e integrate”. Ma, aggiunge, “non possiamo limitarci a soluzioni tampone: servono riforme strutturali per rendere di nuovo attrattiva la professione infermieristica”.
Gli infermieri italiani: eroi quando serve, dimenticati dopo
Durante la pandemia erano gli eroi. Oggi, molti di loro scappano all’estero o cambiano mestiere. Perché? Turni massacranti, stipendi stagnanti, nessuna prospettiva di carriera. Non serve un sociologo per capire che qualcosa si è rotto — e non in Lombardia, ma a livello nazionale. Perché la Regione può metterci del suo, ma i vincoli e le regole arrivano da Roma, dove la macchina ministeriale sembra girare a rilento.
Albani lo dice con misura, ma il messaggio è chiaro: il problema non è chi governa oggi, bensì chi per anni ha tagliato senza costruire.
E se oggi il ministro della Salute fatica a incidere, non è per mancanza di buona volontà, ma perché il danno è profondo, stratificato, sistemico.
Autonomia e dignità: la via lombarda
Ecco perché quando Fontana parla di autonomia differenziata non fa filosofia: parla di libertà di agire, di risorse gestite dove servono davvero. Significa poter aumentare gli stipendi, migliorare le condizioni di lavoro, attrarre i giovani nella sanità pubblica invece di vederli partire per Berlino o Zurigo.
“Riforme vere, non soluzioni tampone”, ha detto il governatore. Parole che suonano quasi provocatorie in un Paese dove la politica, troppo spesso, si accontenta del cerotto invece di curare la ferita.
Conclusione: la differenza tra chi lamenta e chi lavora
Forse è questa la differenza tra la Lombardia e il resto d’Italia: qui si può discutere, ma nel frattempo si agisce.
E mentre altri fanno i conti con le conseguenze delle loro scelte passate, Fontana e la sua squadra continuano a tenere in piedi il sistema con pragmatismo e coraggio.
Albani l’ha detto chiaramente: “Senza infermieri non c’è futuro per il sistema sanitario”.
Già. Ma senza chi li valorizza, non c’è futuro per il Paese.




Commenti