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Risse, giostre e giovani risorse: cartolina da Peveranza

  • Immagine del redattore: ventisette.info
    ventisette.info
  • 30 set
  • Tempo di lettura: 3 min

CAIRATE – Cosa c'è di più italiano di una sagra di paese con le giostre, le salamelle, la banda che suona "Volare" e i bambini che si rincorrono tra i banchi di zucchero filato? Forse nulla. Tranne che, ormai, anche questo piccolo rituale collettivo sembra essere diventato un campo di battaglia per bande di adolescenti in cerca di guai – o meglio, in cerca di conferme identitarie da imporre a colpi di pugni.


Risse, giostre e giovani risorse: cartolina da Peveranza

È successo domenica 28 settembre alla Festa di Peveranza, dove circa 5.000 persone si erano radunate per celebrare una delle poche cose che ancora tengono in piedi la coesione sociale nei piccoli centri: la tradizione. Peccato che nel bel mezzo della festa, proprio nello spiazzo delle giostre (luogo simbolico di spensieratezza e nostalgia), siano volati insulti, spinte e qualche ceffone di troppo. Una rissa tra ragazzi. Un déjà-vu? Forse. Ma questa volta con un dettaglio che in molti hanno sussurrato e in pochi hanno osato scrivere.


A quanto pare, i protagonisti erano giovani – alcuni di origine albanese, altri di etnia rom. Tutto secondo copione.


I motivi? Oscuri. Ma nemmeno troppo. Le cause reali sono spesso poco più che pretesti: uno sguardo di traverso, una parola di troppo, o magari semplicemente il bisogno di “marcare il territorio” in una festa che, ironia della sorte, non è il loro territorio, ma quello di chi ci è nato, ci vive, ci lavora e ci paga le tasse. Tutto molto moderno, molto integrato, molto multiculturale. Con i risultati sotto gli occhi di tutti.


Lo Stato c'è (più o meno)

Va detto: il Comune non è stato a guardare. Il sindaco Anna Pugliese – donna di pragmatismo e nervi saldi – ha giocato d’anticipo, rafforzando la sicurezza con sette agenti in servizio. Intervenuti subito, per carità. Ma quando il modello di convivenza implode in mezzo ai calci e alle urla, servono ben più di sette agenti e un verbale di denuncia il lunedì mattina.


Pugliese ha comunque detto una cosa vera – che va sottolineata:

«Credo che il sistema giustizia in relazione ai giovani vada riformato».


Già. Perché oggi un ragazzino può sfasciare una festa di paese, farsi una foto su TikTok con la felpa griffata, e la sera stessa tornare a casa a gambe levate, pulito come uno specchio. Tanto “è minorenne”.


La solita storia

Nel frattempo, i residenti mormorano: "Li conosciamo", "Succede sempre con gli stessi", "Basta, non ne possiamo più". Ma anche qui, il disco è rotto. La gente sa, ma non può dire. I nomi si conoscono, ma è vietato farli. Perché basta una parola fuori posto e scatta l’etichetta magica: “intolleranza”.


Allora si tace. O si sfoga sui social. O, più semplicemente, si smette di andare alle feste di paese, perché nessuno ha voglia di finire nel mezzo di una rissa mentre aspetta lo zucchero filato per il nipotino.


Una riflessione (amara)

Forse bisognerebbe smettere di fingere che certe tensioni siano un incidente casuale in un paese idilliaco. Non lo sono. Sono il risultato diretto di decenni di ipocrisie, di permissivismo mascherato da progresso, di politiche sociali cieche alla realtà e sorde al buon senso.


L’integrazione è una bella parola. Ma senza regole, rispetto e responsabilità individuale, resta una favoletta da convegno.


Nel frattempo, a Peveranza, si ricomincia a fare i conti con l’ordine pubblico. Alla prossima sagra, forse, oltre alle giostre, servirà anche un metal detector.

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