Gallarate, la piazza che si svuota (e le etichette che continuano a volare)
- ventisette.info

- 27 nov
- Tempo di lettura: 3 min
Cronache semiserie da un Paese dove chi dice “buongiorno” rischia di essere catalogato come estremista da qualcuno.
A Gallarate succede una cosa rarissima: qualcuno, per una volta, decide di non fare casino.
No, non sono quelli che tutti immaginano. Sono i Verdi.
E già qui parte la sigla di “Stranger Things”.
La contro-manifestazione che avevano annunciato contro il presidio dei gruppi di destra radicale? Puff: rinviata.
Motivazione ufficiale: “responsabilità”.
Motivazione reale: forse hanno capito che due cortei a dieci metri di distanza, in una città che già bolle come una moka lasciata sul fuoco troppo a lungo, sarebbe stata un’idea geniale quanto farsi un selfie con un cinghiale.
La sinistra che accusa, la destra che manifesta, la città che spera nell’ennesimo weekend tranquillo
Il ritrovo della destra invece resta confermato. E qui arriva l’immancabile riflesso pavloviano: “Estrema destra!”, “Pericolo!”, “Tensione!”, “Allarme democrazia!”
E allora permetteteci una cosa: se uno manifesta senza spaccare vetrine, incendiare cassonetti o lanciarsi in guerriglie urbane — cosa che altre piazze ‘democratiche’ ci hanno regalato in abbondanza — davvero è un attentato allo spirito repubblicano?
Perché, e lo ripetiamo a scanso di equivoci e a prova di screenshot:
qui non si tratta di tifare destra o sinistra.
Si tratta di guardare i fatti.
E i fatti dicono che chi oggi viene etichettato come “estremista” spesso è solo uno che esprime un’idea non allineata al campo progressista.
Che non è automaticamente fascismo, dittatura o ritorno alle candele.
Remigrazione: la parola che accende gli interruttori emotivi
Nel frattempo i Verdi scrivono al prefetto:
“Questo presidio viola i valori costituzionali, fomenta odio, è un rischio per la società civile, eccetera eccetera”.
Ed eccoci alla parola che scatena tsunami morali: remigrazione.
Da noi, lo diciamo senza fare scorciatoie: remigrazione vuol dire rimettere ordine dove l’ordine è saltato. Non è deportazione, non è razzismo, non è scegliere le persone dal colore.
È una cosa molto più semplice e molto più noiosa:
leggi uguali per tutti e uguale applicazione delle stesse.
Chi scappa da una guerra? Aiutiamolo.
Chi rispetta le regole? Benvenuto.
Chi fa il contrario? Abbiamo confini, tribunali, procedure.
E se un sistema non distingue più nulla, allora sì, serve rimetterlo in piedi da capo.
Civiltà non è dire sì a tutto: è sapere dire un no chiaro quando serve.
La gag delle etichette
Ora la parte più esilarante:
la sinistra grida al fascismo, ma è proprio la sinistra a chiedere che il corteo venga vietato.
Cioè: “voi siete anti-democratici, quindi non potete esercitare un diritto democratico”.
È la logica dei meme, non della politica.
E intanto chi scende in piazza domenica viene raccontato come pericolo pubblico n. 1, mentre loro — che vorrebbero mettere un’ordinanza sul pensiero altrui — sono i paladini della libertà.
C’è del poetico.
Gallarate, la città che non ne può più di essere il set del dibattito identitario
Sei mesi fa il Remigration Summit, oggi un nuovo presidio, domani chissà.
La città vorrebbe tornare a parlare di cose normali, tipo parcheggi, buche.
Ma ogni volta che si pronuncia quella parola (remigrazione!) parte la rissa ideologica.
Forse perché, in fondo, divide chi vuole regole da chi vuole narrazioni.
E le narrazioni, si sa, fanno più rumore delle regole.
Il punto finale
Qui non difendiamo nessuno perché “sta a destra” o “sta a sinistra”.
Difendiamo una cosa sola:
la possibilità di discutere senza venire timbrati con categorie prefabbricate.
E se qualcuno vuole manifestare pacificamente, lasciatelo manifestare.
E se altri vogliono contestare, lo facciano senza pretendere il monopolio della democrazia.
La libertà non è un gadget da regalare agli amici:
o vale per tutti, o non vale per nessuno.








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