Crimine e decadenza: il caso di Sesto San Giovanni che dice (più di quanto si vuole ammettere)
- ventisette.info

- 21 set
- Tempo di lettura: 2 min
Un uomo di 62 anni, Hayati Aroyo, viene accoltellato a decine di riprese e poi dato alle fiamme in un appartamento di Sesto San Giovanni. La notizia ha i contorni della cronaca più cupa, quella che una volta si archiviava con un brivido e che oggi invece, per qualche ragione, si cerca di normalizzare, tra talk show, “contesti difficili” e spiegazioni sociologiche che suonano più come scuse.
Peccato che qui non ci sia nulla da normalizzare: solo da guardare in faccia, con tutta la crudezza del caso.

Il triangolo non l’avevo considerato (e neanche il codice penale)
Secondo quanto ricostruito dagli inquirenti, all’origine del delitto ci sarebbe un video compromettente, girato durante un “festino” (così viene chiamato, con un’eleganza da comunicato stampa), in cui la donna – oggi in carcere – sarebbe stata ripresa in atteggiamenti intimi. Aroyo, la vittima, avrebbe minacciato di diffondere il filmato. Risultato: lo hanno accoltellato e poi bruciato l’appartamento per cancellare le prove.
Moglie, marito e amico (di origine straniera) tutti e tre ora in carcere a Busto Arsizio. Tre vite allo sbando, evidentemente, che si incontrano sul fondo di un barile sociale che qualcuno si ostina a non voler vedere.
Il multiculturalismo quando non fa notizia
Curioso (ma non troppo) che gli inquirenti abbiano subito voluto escludere “moventi mafiosi”, pur precisando che la vittima fosse cognato di un boss turco ucciso in Calabria nel 2005. Non che si voglia insinuare nulla, ci mancherebbe. Ma in certi casi le precisazioni suonano più come rassicurazioni di facciata. Perché poi, se alzi appena lo sguardo, ti accorgi che la mappa del crimine in Italia racconta qualcosa che cozza parecchio con la narrazione ufficiale.
Ma no, guai a dire che esistono problemi culturali, sociali o perfino antropologici nei nuovi modelli di “convivenza urbana”. Meglio parlare di “disagio”. Meglio derubricare tutto a “dinamica relazionale degenerata”.
Dall’intimità al rogo: cronaca di una società iper-liberata
Colpisce anche il motivo scatenante. Non una questione economica, non un regolamento tra bande. Ma un video compromettente girato durante una serata allegra – uno di quei momenti “liberati” che dovrebbero rappresentare l’apice del progresso. E invece no: dietro al liberismo dei costumi si annida spesso una violenza primitiva, tribale, quasi animalesca, che sfugge a ogni narrazione felice.
Una volta certe cose succedevano nei film americani di serie B. Ora accadono nel palazzo di fianco. E nessuno si stupisce. Al massimo si condivide la notizia con una emoji scioccata. Poi si passa oltre.
Nessun moralismo, solo realtà
Non è questione di fare i moralisti o di invocare un ritorno ai tempi in cui non si faceva l’amore, si faceva la guerra. Ma neanche si può continuare a ignorare che qualcosa si è rotto. E che certi crimini non sono alieni. Sono figli legittimi di una cultura che ha smantellato ogni freno, ogni autorità, ogni limite.
Quando tutto è lecito, anche l'orrore diventa un’opzione percorribile.
E poi ci si domanda come sia potuto succedere.




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