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Busto Arsizio “tace” sulla Palestina? Ma sarà poi un silenzio, o solo rumore diverso?

  • Immagine del redattore: ventisette.info
    ventisette.info
  • 22 set
  • Tempo di lettura: 2 min

“Buongiorno, ho atteso con la speranza di leggere di iniziative a favore del popolo palestinese, ma Busto Arsizio tace…”Inizia così un messaggio circolato online — tono lamentoso, punte di risentimento, e il solito ditino puntato. La sostanza? Un cittadino, residente in Lombardia da 15 anni, non riesce a digerire che Busto non si sia inginocchiata pubblicamente davanti alla causa palestinese. Niente fiaccolate, niente striscioni, niente lacrime collettive. Solo oratori, messe, e silenzio.


Busto Arsizio “tace” sulla Palestina? Ma sarà poi un silenzio, o solo rumore diverso?

E allora via con la ramanzina morale: "Andate in chiesa, ma vi girate dall’altra parte mentre i bambini muoiono". Un’accusa grossa, per chi crede ancora che pregare non sia un atto di indifferenza, ma di compassione. E magari anche di dignità.


La verità? Non tutti devono gridare per esserci.

A Busto, come in tanti altri angoli d’Italia, c’è ancora chi crede che l’impegno si misuri nei fatti, non nei post. Che la solidarietà non abbia bisogno di megafoni, bandiere arcobaleno e spritz solidali. Che le tragedie del mondo siano troppo complesse per essere incasellate in una bella narrazione da corteo.


E sì, a Busto si fa ancora l’oratorio, si va a messa la domenica, si cucina per le sagre e si cresce tra campetti e catechismo. Non perché si è ciechi al mondo, ma perché si parte dalla propria comunità. Una parola che oggi suona quasi offensiva, ma che un tempo significava qualcosa. Famiglia. Radici. Ordine.


E poi, diciamolo: il mondo è pieno di cause. Ma non tutte hanno lo stesso peso qui.


Forse non tutti vogliono prestarsi a battaglie che, spesso, vengono presentate con un'unica lente: quella emotiva, parziale, ideologica. Forse qualcuno ha ancora il coraggio di tenere il punto, di non saltare sul carro della sensibilità a comando. E magari – scandaloso dirlo – c’è anche chi si fa delle domande scomode, tipo: "Chi organizza certe manifestazioni? Cosa c'è dietro? Perché si parla solo di alcuni morti e mai di altri?"


Il silenzio, a volte, è solo sobrietà. O dissenso elegante.

No, non tutti sventolano bandiere perché glielo chiede la timeline. A Busto si prega, si lavora, si educano i figli. E se questo dà fastidio, forse è proprio perché funziona ancora. In un’Italia dove tutti devono avere un’opinione pubblica su ogni conflitto mondiale, c’è ancora chi sceglie il riserbo. E lo fa non per indifferenza, ma per rispetto. Della complessità. Della propria coscienza. Della verità, che non abita mai solo da una parte.


Ecco perché il silenzio di Busto, forse, è più onesto di mille parole urlate a comando.

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