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Varese, via i ruderi: l’arte del dire "basta" al brutto

  • Immagine del redattore: ventisette.info
    ventisette.info
  • 18 set
  • Tempo di lettura: 3 min

Il brutto, in Italia, è come la burocrazia: difficile da estirpare, ma quando ci riesci, respiri meglio.


Varese, via i ruderi: l’arte del dire "basta" al brutto

Succede che a Varese — in una città che si affanna a raccontarsi smart, green e internazionale, ma ogni tanto inciampa su se stessa — qualcuno abbia finalmente detto una cosa semplice, chiara, concreta: quei due ruderi Anas all’ingresso della città sono una vergogna, e vanno tirati giù.


A dirlo è Giuseppe Macchi, presidente della Commissione Sicurezza del Comune. E già solo che sia la Commissione Sicurezza a dover parlare di edilizia abbandonata, dice molto: quando il degrado urbano diventa un tema di ordine pubblico, forse è tardi per fare poesia.

Ma non per agire.


Il panorama dell'abbandono

All’ingresso di Varese, invece di un belvedere, ti accoglie una coppia di edifici sventrati, stile “post-bellico di quart’ordine”, abbandonati da chissà quanto e lasciati lì come un insulto silenzioso a chi ogni giorno entra in città per lavorare, vivere, contribuire.

Una specie di biglietto da visita del disinteresse, firmato ANAS e timbrato “non ci riguarda”.

E allora ben venga la richiesta di Macchi: demolire. Fare spazio. Ridare dignità. Non ci vogliono mostre d’arte urbana o murales con le mani che si toccano, qui: ci vogliono le ruspe. E un po’ di coraggio.


Il mito della rigenerazione

Ora, non è che “rigenerazione urbana” sia una parola nuova. È che troppo spesso viene usata per coprire speculazioni, rifacimenti che peggiorano le cose o, peggio, muri dipinti di verde con sopra scritto “benvenuti nella sostenibilità”.

Eppure, quando si fa sul serio — come in Largo Flaiano, come in via Lazio con l’ex area industriale abbattuta — i risultati si vedono. Più ordine, più valore, più sicurezza. Tutte cose che, casualmente, piacciono più alle famiglie che ai centri sociali.


Il bello è un diritto. Anche estetico.

Perché diciamolo: non è normale che in Italia si sia perso il senso del bello. Ci scandalizziamo se un influencer fa una battuta stonata, ma poi lasciamo una mezza casa sfondatasi nel 1984 a fare da cartolina per i turisti che arrivano dalla Svizzera. Ma che figura ci facciamo?

E qui non c'entra il colore politico, c’entra una cultura del decoro, della città come luogo da custodire, non da sopportare. C'entra il fatto che certe cose vanno tolte. Punto.

Certo, qualcuno dirà: "Ma è solo un edificio, che sarà mai?"E invece no: è una mentalità. O lo butti giù oggi, o domani ci crescono sopra le sterpaglie, gli abusi edilizi e pure un rave non autorizzato.


Meno parole, più ruspe (benedette)

Macchi ha fatto un appello chiaro ad ANAS. Ora sta a loro decidere se continuare a fare gli spettatori del brutto o passare finalmente all’azione.

Perché una città che si rispetta non si presenta con le mutande sporche. E chi governa non può limitarsi a dire “eh, ma non è competenza nostra”.

Ogni mattone abbandonato, ogni finestra rotta, ogni rudere lasciato lì a marcire è una dichiarazione d'intenti. Dice: qui non importa a nessuno. Qui non comanda nessuno.Ed è proprio da qui che nasce l’insicurezza.


👷‍♂️ Conclusione: i ruderi non sono archeologia

Varese non ha bisogno di monumenti al degrado. Ha bisogno di un progetto, una visione, una mano ferma. Quella che non si vergogna di dire che l’ordine è un valore, che il bello si protegge anche col martello pneumatico, e che chi non demolisce ciò che è irrecuperabile, non sta conservando nulla. Sta solo accumulando macerie.

Quindi avanti con le ruspe. E magari, quando avete finito, passate anche da qualche altro incrocio.

Che il decoro, dopotutto, è contagioso.

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