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Sopravvivere a Malpensa: manuale semiserio per non farsi travolgere dal progresso (e dalla coda in via Giusti)

  • Immagine del redattore: ventisette.info
    ventisette.info
  • 13 ott
  • Tempo di lettura: 3 min

A Somma Lombardo è nato un nuovo gruppo. No, non una cover band anni ’90 né una squadra di calcetto over 50. Si chiama Sopravvivere a Malpensa, e si propone – parole loro – di “affrontare i disagi legati allo scalo della brughiera”.Un nome che evoca la lotta per la sopravvivenza tipo Bear Grylls, ma con meno serpenti velenosi e più traffico su corso Europa.


Sopravvivere a Malpensa: manuale semiserio per non farsi travolgere dal progresso (e dalla coda in via Giusti)

Ora, nessuno nega che Malpensa abbia qualche effetto collaterale. L’inquinamento acustico c’è, i voli bassi pure. E il traffico... beh, quello ce l’hanno anche a Milano con la differenza che lì lo chiamano “dinamismo urbano”. Qui invece è un incubo solo se passa un Easyjet sopra casa.


E così arriva l’esperto Jimmy Pasin – ambientalista, attivista, esperto di infrastrutture – a guidare questo manipolo di cittadini in una battaglia che si preannuncia intensa. La lotta è per la qualità della vita, per il quartiere, per la brughiera. Niente da dire, nobili intenti.


Ma ecco il punto. L’aeroporto internazionale di Malpensa c’è. E – notizia bomba – non se ne andrà.


Il paradosso del turista arrabbiato

Una domanda sorge spontanea, con la delicatezza di un motore Rolls-Royce in decollo: ma tutti questi paladini del silenzio, quando devono andare in vacanza a Mykonos o trovare la zia a New York, da dove partono? Dall'elisuperficie di casa? Oppure Malpensa diventa magicamente sostenibile solo quando c'è da timbrare il passaporto e scappare verso lidi esotici?


Insomma, Malpensa è il male solo quando fa rumore sopra casa, ma diventa il bene assoluto quando è ora di fuggire dallo stress cittadino. Un classico, più italiano del caffè preso al volo in doppia fila.


Progresso, con moderazione (ma che sia progresso)

Qui su Ventisette abbiamo una filosofia molto semplice: se il progresso ti bussa alla porta, non lo mandi via perché fa troppo rumore. Gli chiedi semmai di togliersi le scarpe prima di entrare.

Ecco: Malpensa è quel progresso. È un’opportunità, non solo una seccatura. Crea lavoro, porta turismo, e tiene in piedi un intero indotto economico che – spoiler – è più utile di dieci comitati armati di volantini.


Serve una visione concreta, non nostalgica. Non siamo negli anni Settanta in cui si poteva ancora fare finta che bastasse la bicicletta per risolvere tutto. Ci vogliono infrastrutture serie, logiche di sviluppo, pianificazione urbana che tenga conto della realtà, non solo dei sogni.


Per carità, che si parli di rotte e di rumore va bene, ci mancherebbe. Ma evitare di trasformare ogni decollo in un dramma shakespeariano aiuterebbe a tenere i piedi per terra. Anche perché gli aerei, si sa, quelli sì che stanno sempre con la testa tra le nuvole.


In conclusione: viva i comitati (ma pure chi lavora)

Che nasca un nuovo gruppo è sempre una bella notizia. Significa che c’è voglia di partecipazione, attenzione al territorio, cittadinanza attiva – tutte cose che suonano bene nei comunicati stampa. Ma attenzione a non cadere nel riflesso pavloviano di dire no a tutto.

Perché il rischio è quello di combattere, ancora una volta, contro i mulini a vento. Solo che oggi, quei mulini, atterrano e decollano sei volte all’ora e portano in giro migliaia di persone.


Chi lo sa, magari Sopravvivere a Malpensa si rivelerà un gruppo pragmatico, capace di dialogare senza farsi venire l’orticaria ogni volta che si parla di crescita, sviluppo o – parola proibita – investimenti. Altrimenti, sarà l’ennesima sigla che sopravviverà... solo a sé stessa.

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