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Sesto Calende e gli stalli del mercato: quando la burocrazia colora anche il porfido

  • Immagine del redattore: ventisette.info
    ventisette.info
  • 10 nov
  • Tempo di lettura: 2 min

A Sesto Calende, pare che qualcuno abbia deciso che il centro storico fosse troppo... anonimo. E così, pennello alla mano, si è dato il via a una rivoluzione cromatica degna di una fiera paesana del dopoguerra: numeri, linee, marcature — rigorosamente permanenti — hanno fatto la loro comparsa anche sul porfido, quello che fino a ieri faceva tanto “borgo elegante sul Ticino”.



Il risultato? Una sorta di tombola urbana, dove ogni ambulante ha finalmente il suo posto garantito, e ogni cittadino può godersi lo spettacolo del contrasto tra pietra storica e vernice industriale.

Un capolavoro di urbanistica a righello.


Ma non tutti applaudono.

Il gruppo consiliare di Fratelli d’Italia ha presentato un’interrogazione per capire chi abbia autorizzato questa impresa, e soprattutto perché. Domande legittime, verrebbe da dire, anche solo per capire quale mente creativa abbia pensato che un centro storico potesse giovarsi di un restyling in stile parcheggio del centro commerciale.


L’intervento, si legge, “ha suscitato osservazioni da parte dei cittadini”. Traduzione: la gente è rimasta di stucco.

Perché vedere numeri bianchi stampati sul porfido è un po’ come trovare un neon rosa sopra la porta del Duomo: non te lo aspetti, e ti chiedi chi abbia deciso che fosse una buona idea.


Certo, si potrebbe dire che è questione di praticità. Gli stalli servono, l’ordine anche. Ma esiste una differenza tra gestire e governare: la prima si fa con le bombolette, la seconda con un po’ di visione.

E qui, di visione, se n’è vista parecchia — solo che era quella del verniciatore.


FdI chiede chiarimenti: chi ha deciso, chi ha firmato, chi ha ignorato le perplessità iniziali.

Domande semplici, che però, in Italia, suonano quasi rivoluzionarie.

Perché ogni volta che si cerca di capire chi ha detto “sì” a qualcosa di discutibile, si finisce in una caccia al tesoro istituzionale dove, guarda caso, il responsabile “non si trova mai”.


La verità, forse, è che dietro a queste piccole scelte si nasconde una filosofia più grande: quella del “basta che si faccia”. Anche se il risultato è un centro storico che oggi assomiglia più a un campo da minigolf che a un salotto urbano.


FdI chiede un ripensamento, un ritorno al decoro, un colpo di spugna — magari letterale, vista la situazione. E noi, più che condividere o meno la posizione, ci limitiamo a constatare un fatto: c’è sempre qualcuno pronto a dipingere anche dove basterebbe un po’ di buonsenso.


In fondo, la storia di Sesto Calende non è solo una questione di stalli di mercato.

È un piccolo grande simbolo di come, a forza di regolare ogni centimetro di spazio pubblico, si rischia di perdere quello che rende una città davvero viva: la capacità di essere bella senza bisogno di linee guida.

O, in questo caso, di linee bianche.

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