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"Sciopero Generale per Gaza: quando la sinistra blocca l’Italia… con la scusa di Gaza"

  • Immagine del redattore: ventisette.info
    ventisette.info
  • 3 ott
  • Tempo di lettura: 3 min

VARESE – 3 ottobre. Un normale venerdì mattina. O almeno così sarebbe dovuto essere. Invece, traffico paralizzato, piazze piene, slogan, bandiere, cori, e – come ormai da copione – l’immancabile “sciopero generale”. Il tutto non per difendere i lavoratori italiani, i salari, la sanità o i trasporti… ma per Gaza. Sì, avete letto bene. Gaza.


"Sciopero Generale per Gaza: quando la sinistra blocca l’Italia… con la scusa di Gaza"

A promuovere la sceneggiata di giornata ci ha pensato la solita compagnia di giro: CGIL, sindacati “di base” (che ormai si sono dimenticati anche dove stia di casa la base) e il solito assortimento di sigle, comitati, consiglieri PD e studenti “impegnati”. Un mix ben noto, che conosce a memoria il copione: si prende un tema internazionale, si fa finta di essere indignati, si blocca una città italiana e si sventolano bandiere che non sono tricolori.


Ma andiamo con ordine.


Corteo o carnevale?

Stando agli organizzatori (notoriamente imparziali…), sarebbero stati tremila i partecipanti. In piazza Monte Grappa si sono ritrovati fin dalle 9:30, per poi sfilare verso Casbeno tra cori contro Israele, il governo Meloni, Tajani, Salvini e chiunque non si allinei al pensiero unico. Perché si sa: in certe piazze il pluralismo vale solo se la pensi come loro.


E tra una bandiera della Palestina, una della pace e un cartello "Free Gaza", il quadro era completo: i lavoratori italiani? Solo una comparsa. Lo sciopero generale? Un pretesto.


Una sinistra con il GPS rotto

E qui viene il punto. La sinistra – quella con la S maiuscola, ideologica, polverosa, nostalgica – continua imperterrita a cercare nel mondo cause da importare. Conflitti lontani, crisi internazionali, vicende geopolitiche complesse che, magicamente, diventano motivo per scendere in piazza, paralizzare le città italiane e prendersela con il “regime” (ovvero, qualsiasi governo non sia di centrosinistra).


Il problema è che mentre loro sfilano per Gaza, in Italia ci sono imprenditori che chiudono, artigiani che non ce la fanno più, famiglie alle prese con bollette e mutui, e pendolari che oggi – a causa dell’ennesimo sciopero – hanno fatto tardi a lavoro. Ma a quanto pare, di questi non importa granché.


Il vero bersaglio? Il governo

Perché sia chiaro: non si manifestava (solo) per Gaza. Il bersaglio era chiaro e ben italiano: l’esecutivo. L’accusa? Aver “abbandonato connazionali in acque internazionali” e aver “impedito l’azione umanitaria”. Sembra quasi di leggere un comunicato degli anni Settanta, con i “volontari internazionalisti” e la guerra al sistema.


Il tutto condito dalla presenza istituzionale dell’opposizione, con esponenti PD pronti ad arrampicarsi sul carro (o sul veliero?) della Flotilla per Gaza. Non importa dove, non importa il contesto: basta esserci, purché contro. E pazienza se in piazza si intonano cori al limite dell’antisemitismo, o se si semplifica un conflitto tragico in tifo da stadio. La cosa importante è occupare lo spazio politico. Anche a costo di bloccare il Paese.


La solita Italia a due velocità

Da una parte chi lavora, chi produce, chi porta avanti questo Paese con fatica. Dall’altra chi, da decenni, agita bandiere, proclama scioperi, grida alla repressione e si erge a paladino dei popoli oppressi… tranne il proprio. E la sensazione – ogni volta – è che certi scioperi abbiano più a che fare con il teatrino ideologico che con la reale solidarietà.


Perché, diciamocelo, se davvero la CGIL fosse in piazza per “difendere i lavoratori e le lavoratrici”, forse avrebbe qualcosa da dire anche su inflazione, fisco, burocrazia, infrastrutture. Ma quelle sono battaglie concrete, difficili. Meno fotogeniche.


In conclusione: Gaza è un tema tragico e complesso, su cui ognuno ha il diritto di avere un’opinione. Ma trasformare un conflitto internazionale in una scusa per scioperare e bloccare le città italiane, quello no. Quello è solo il vecchio vizio di una certa sinistra che non riesce a uscire dal Novecento. E ogni tanto, forse, dovrebbe ricordarsi che l’Italia è ancora qui. Con i suoi problemi. E con milioni di cittadini che non hanno tempo per le manifestazioni, perché devono lavorare.

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