Pentole, bandiere e slogan: a Varese la pace si misura in decibel
- ventisette.info

- 18 set
- Tempo di lettura: 3 min
C’è chi la domenica la passa a sistemare il giardino, chi va a messa, chi legge un buon libro... e chi va in piazza a battere pentole.

Succede a Varese, dove il “Comitato Varesino per la Palestina” ha ormai messo in calendario fisso una serie di appuntamenti che, tra marce, presìdi e attività per bambini, trasformano piazza Monte Grappa in un teatro permanente del dissenso.
Non una critica, sia chiaro. In democrazia ognuno si esprime come può. Alcuni lo fanno con strumenti di governo, altri con padelle e megafoni.
Il weekend del rumore
Nel menù di questo weekend, troviamo:
Sabato: Marcia pro-Palestina, con partenza dai Giardini Estensi.
Domenica pomeriggio: “Marcia dei bambini per la pace”, sempre ai Giardini Estensi.
Domenica sera: raduno in piazza Monte Grappa per “fare rumore” e non essere “complici silenziosi”.
Lunedì: Sciopero generale.
Nel frattempo, si parla anche di lezioni di arabo, laboratori creativi, performance artistiche, e ovviamente di numeri. Tanti numeri. Alcuni ufficiali, altri stimati, altri ancora che passano senza verifica ma con una potenza emotiva che nessun fact-checking potrà mai pareggiare.
Il dramma c’è. Ma la propaganda?
Che il conflitto israelo-palestinese sia una tragedia epocale è fuori discussione. Come è fuori discussione che ogni vita persa è una sconfitta per tutti.
Ma tra il grido per la pace e la militanza ideologica a senso unico, esiste un confine che andrebbe almeno segnalato. Non fosse altro per rispetto verso una cittadinanza che ha il diritto di non essere trattata come uditorio passivo di monologhi moralisti.
La realtà è complessa, fatta di colpe, errori, debolezze e violenze reciproche. Ma nel copione che va in scena in piazza, Israele è il Male Assoluto, e ogni altro discorso è etichettato come complicità. Una semplificazione comoda, emotiva, perfetta per hashtag e cori, ma lontana anni luce dalla diplomazia, dalla storia e — soprattutto — dal buon senso.
Bambini, colori e battaglie che nessuno spiega
L’inserimento dei bambini nei cortei — per quanto “pacifici” — è un altro nodo delicato. L’idea della “marcia dei piccoli per la pace” può sembrare tenera, ma ha un sapore retorico che ricorda altri tempi e altri regimi, quando si pensava che la lotta politica dovesse partire fin dall’asilo.
Forse sarebbe più utile spiegare loro, con equilibrio e verità, che la pace non si costruisce solo con i tamburi e le bandiere, ma anche — e soprattutto — con responsabilità, dialogo e rispetto delle sovranità nazionali. Anche quelle che non ci piacciono.
Il rumore come terapia collettiva
Alle 21:00 di ogni domenica, a Varese “si fa rumore”. Per non essere “complici silenziosi”. Il concetto è nobile, ma — consentiteci — anche un po’ naïf. Come se il problema fosse il silenzio. Come se la soluzione stesse nel decibel e non nella diplomazia.
Siamo sicuri che chi lavora nei governi — quelli veri, non nei collettivi — stia davvero aspettando il suono di una campanella varesina per cambiare le sorti del Medio Oriente?
E le istituzioni?
Il Comitato chiama a raccolta anche comuni e amministrazioni, invitandoli a “risuonare ogni domenica, fare rumore, battere pentole e campane”.
Ora, ammettiamolo: un’amministrazione che, al posto di governare, si mette a battere mestoli la domenica in piazza, è l’immagine esatta di uno Stato che ha smesso di essere adulto. Lo Stato — quando fa sul serio — non fa rumore: agisce. Decide. Assume responsabilità. Difende principi. E costruisce soluzioni.
🎯 Conclusione: la pace non è un happening
In un’epoca in cui tutto si trasforma in evento, anche il dolore rischia di diventare format da replicare ogni weekend. Ma la pace — quella vera — non nasce dai cortei, né dalle bandiere, né dai cori da stadio. Nasce quando si smette di pensare in bianco e nero, e si comincia a riconoscere che ogni popolo ha diritto alla sicurezza, alla libertà e alla verità.
Nel frattempo, Varese continua a “fare rumore”. Ma tra un tamburo e una bandiera, forse servirebbe anche qualcuno che sappia ascoltare — e distinguere — il suono della realtà.




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