Induno Olona: la pista c’è, ma non si può usare. Benvenuti nella Repubblica dell’Assurdo
- ventisette.info

- 29 ott
- Tempo di lettura: 2 min
In Italia siamo campioni del mondo di una specialità tutta nostra: le opere pubbliche finite ma inutilizzabili. È una disciplina nobile, praticata da Nord a Sud, che richiede tre ingredienti essenziali: soldi pubblici, carte bollate e un pizzico di immobilismo amministrativo condito da ipocrisia. E a Induno Olona, questa nobile tradizione è viva e vegeta.

La pista dei sogni (chiusa a chiave)
La storia è semplice — come tutte le cose che diventano inspiegabili una volta passate per le mani della burocrazia.
La vecchia galleria ferroviaria è stata sistemata e trasformata in una pista ciclopedonale pronta per collegare il nord del paese fino a via Piffaretti. Un progetto bello, utile, verde: roba che dovrebbe piacere anche ai più integralisti del “salviamo il pianeta”.
E invece… chiusa. Sbarrata. Sigillata come un segreto di Stato.
Da un anno e mezzo, i cittadini passano davanti ai cancelli serrati e si chiedono: ma perché?
Le scuse dell’acqua santa
Il sindaco Castelli ha parlato di “infiltrazioni d’acqua” e “distacchi dal soffitto”. Certo, perché — si sa — l’acqua nelle gallerie è una novità dell’ultimo millennio.
Chissà cosa direbbero gli svizzeri del San Bernardino, dove l’acqua filtra eccome ma nessuno si sogna di chiudere tutto e appendere il cartello “torniamo quando smette di piovere”.
E poi c’è la parte comica: i lavori sono stati dichiarati conclusi e regolarmente eseguiti. Quindi l’opera è finita, certificata, firmata, timbrata.
Ma non aperta.
Siamo al paradosso: un’opera pubblica “finita” che però “non si può usare”.
Un po’ come comprarsi un’auto nuova e lasciarla nel garage perché… piove.
Politica o paura di pedalare?
Il gruppo di minoranza “Viviamo Induno Olona” lo dice chiaramente: se la scelta è politica, che lo si dica.Forse la pista non piace perché l’ha iniziata la vecchia amministrazione. O forse, semplicemente, non si crede che una ciclabile possa servire davvero.
Ma allora, perché accettare i soldi, firmare i contratti, posare i nastri e poi tirarsi indietro al momento del taglio?
Il sospetto è che qualcuno preferisca non pedalare troppo, né in bici né in senso figurato. Perché aprire un’infrastruttura vuol dire prendersi la responsabilità di farla funzionare, e in certi palazzi è più comodo restare fermi, tanto c’è sempre qualcuno a cui dare la colpa.
Intanto, i cittadini aspettano
La pista è lì, chiusa, con i due ingressi che cominciano a fare degrado.
Un’opera “green”, pensata per unire, che oggi divide.
E mentre si discute di “atti formali” e “problematiche tecniche”, la gente comune — quella che magari va al lavoro in bici, o porta i figli a fare due pedalate la domenica — resta a guardare.
Ecco cos’è davvero la sostenibilità all’italiana: spendere soldi per un sogno, e poi lasciarlo dietro un cancello chiuso a chiave.
Ma tranquilli, prima o poi qualcuno farà un’altra conferenza stampa per spiegare che “la situazione è complessa”.
E noi, nel frattempo, continueremo a camminare. Magari sulla strada, perché la pista c’è, ma non si può usare.


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