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Il Molina compie 150 anni: una lezione di civiltà (senza retorica)

  • Immagine del redattore: ventisette.info
    ventisette.info
  • 21 set
  • Tempo di lettura: 3 min

VARESE – In un Paese dove le candeline si spengono spesso per abitudine, e le celebrazioni sembrano più una scusa per dire che "qualcosa si è fatto", c’è chi festeggia un secolo e mezzo di storia senza inciampare nell’autocelebrazione stucchevole, ma facendo vedere (letteralmente) cosa accade dentro. È successo a Varese, dove la Fondazione Molina – la seconda RSA più grande della Lombardia – ha aperto le sue porte alla città per festeggiare 150 anni di servizio reale. Non simbolico. Non decorativo. Reale.


Il Molina compie 150 anni: una lezione di civiltà (senza retorica)

C’erano tutti, dai cittadini agli amministratori, dal vescovo al presidente di Regione. Ma la vera protagonista, stavolta, non è stata la passerella politica. È stata l’idea di un’istituzione che funziona, che si prende cura, che evolve con dignità e non con lamenti.


RSA del futuro, non della retorica

Tra targhe commemorative e omaggi doverosi, è spuntata anche un’idea piuttosto interessante: quella di un modello di RSA che non è un parcheggio per anziani, ma un centro di assistenza, ambulatori, cure intermedie, nuclei Alzheimer e palliative. E no, non è utopia nordica: è il Molina di Varese. Dove, guarda caso, la sanità non si gestisce con bandiere ideologiche ma con competenza e organizzazione.


Il presidente della Regione, Attilio Fontana, lo ha detto chiaro: «Questa struttura è il modello delle RSA del futuro». E in effetti lo è, ma a patto che ci si affidi a chi sa cosa significa amministrare, non a chi sogna rivoluzioni sociali a colpi di post.


Quando il pubblico funziona (se messo in buone mani)

Anche il sindaco Galimberti ha parlato di portare un po’ di Molina “nelle case dei cittadini”. Intenzione lodevole, certo, anche se – diciamolo – non tutte le case, né tutti i cittadini, sono pronti ad accogliere il peso della cura, che non è un diritto astratto ma un dovere concreto. Eppure, se il modello funziona, perché non replicarlo? Magari evitando di infilare nel progetto troppa burocrazia, troppa retorica o qualche consulente con lo spirito da guru.


Il presidente della Provincia Magrini ha detto che «più che una struttura, il Molina è una famiglia». E forse, in un’epoca in cui la parola famiglia viene pronunciata solo col mille asterischi, questa è la cosa più rivoluzionaria di tutte.


Carità, ma con metodo

Non è mancata nemmeno la riflessione del sottosegretario Raffaele Cattaneo, che ha richiamato il valore evangelico della carità. Parole forti, ma oneste. E in un mondo dove anche la solidarietà sembra dover chiedere il permesso alla narrativa dominante, fa piacere sentire qualcuno che ricorda che aiutare non è solo un dovere pubblico, ma una responsabilità personale. E collettiva. Che si realizza con gesti, non con piani decennali a sei zeri firmati da chi ha visto tre pazienti in vita sua.


Morale? I valori non invecchiano

La Fondazione Molina ha mostrato alla città che si può costruire qualcosa che dura 150 anni, senza scusarsi del proprio ruolo, senza inseguire il consenso facile, senza rinunciare alla propria identità per sembrare più "inclusiva".


Un esempio raro, ma prezioso. Una lezione di civiltà che non fa rumore, ma funziona.


E chissà, magari ci ricorda anche che il futuro non è da inventare ogni volta da capo. A volte basta saper custodire ciò che funziona già. E non rottamarlo in nome del nuovo a tutti i costi.

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