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Il bar del disagio chiude (di nuovo): a Carnago la movida chimica va in ferie forzate

  • Immagine del redattore: ventisette.info
    ventisette.info
  • 22 set
  • Tempo di lettura: 2 min

CARNAGO – Il solito bar che “non è un bar qualunque” chiude per ferie. Coatte, però. A deciderlo non è stato TripAdvisor, ma il Questore di Varese, Carlo Mazza, che ha firmato un bel provvedimento di chiusura per 20 giorni. Il locale in questione? Un affezionato frequentatore dei faldoni in Questura. Le cronache lo conoscono già, e i cittadini anche: risse, droga, alcol a fiumi e clientela selezionata col setaccio della recidiva penale.


Il bar del disagio chiude (di nuovo): a Carnago la movida chimica va in ferie forzate

Questa volta, a far traboccare il bicchiere (già mezzo pieno di problemi), è stato l’arresto di un soggetto pizzicato dentro il locale con un bottino di droga degno di uno spin-off di Narcos. Non contenti, gli inquirenti ci hanno aggiunto la denuncia di un altro cliente per lo stesso reato. Insomma, più che un bar, un co-working dello spaccio.


Curriculum da cocktail molotov

Non è la prima volta che il locale finisce sotto i riflettori della legge. Nel luglio 2024, stessa scena: chiusura per 10 giorni. Motivo? Altri due avventori con la passione per le erbette e un cestino interno (non ecologico) con dentro 60 grammi di marijuana suddivisa in 20 involucri. Praticamente, il bar offriva raccolta differenziata e pacchetti formato famiglia.

E poi? L'immancabile contorno: aggressioni, risse, danneggiamenti. Tutto il repertorio del bar di paese che si crede il Bronx, ma senza lo stile vintage.


Grazie, Stato

E qui una nota di merito va detta: ogni tanto, lo Stato si sveglia. E quando lo fa, chiude bar. Non ponti, non porti: bar. Che può sembrare poco, ma è moltissimo, specie per chi vive a pochi metri da questi buchi neri di “socialità tossica”.

Il Questore ha agito ai sensi dell’articolo 100 del TULPS, una norma antica quanto utile, che consente di sospendere la licenza a locali che diventano focolai di illegalità. Non è repressione, è prevenzione. Quella vera. Quella che dice: «se non sai gestire la tua clientela, ci pensiamo noi a gestire te».


No, non è solo “una birra al bar”

Perché diciamolo chiaramente: il bar è un termometro sociale. Se un locale diventa la tana di pregiudicati, tossici e violenti, non è “sfortuna”, non è “una birra tra amici finita male”. È un modello. Un sistema. Una mentalità.

E allora sì, ogni tanto ci vuole una bella serranda abbassata. Perché il diritto di lavorare va di pari passo con quello di vivere tranquilli. E chi dimentica questo equilibrio, finisce per confondere la libertà con l’anarchia. O peggio, con la complicità.

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