Gli Stunaa, l’Italia che non si scusa di essere allegra
- ventisette.info

- 11 nov
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A Sesto Calende, qualche giorno fa, si è celebrato qualcosa che oggi sembra quasi rivoluzionario: la memoria.
Sì, proprio quella cosa un po’ polverosa, fatta di volti, di mani callose e di nomi che non si cercano su Google ma si ricordano a memoria.
La città ha reso omaggio alla Banda degli Stunaa, un gruppo di matti meravigliosi che per decenni ha suonato, riso e fatto comunità.
Non per un bando europeo, non per un hashtag, non per un finanziamento — ma per il gusto di stare insieme, per quella sana voglia di appartenere che oggi fa quasi paura pronunciare.
La cerimonia è stata semplice: una Messa, qualche parola vera, un pranzo come si deve. Niente influencer, niente plastica linguistica. Solo persone, sedie di legno e ricordi.
La Sindaca, che lì dentro ha pure un pezzo di storia di famiglia, ha parlato di affetto e radici. E per una volta nessuno ha avuto bisogno di spiegare cosa significano: si capiva da sé, dal tono, dagli sguardi.
La Banda degli Stunaa è stata premiata dal Comune come simbolo di allegria, impegno e comunità. Tre parole che dovrebbero essere patrimonio dell’umanità, ma che oggi sembrano quasi sospette. Perché sì, loro suonavano per il paese, non “per il pubblico”. Facevano festa, non “eventi”. Ridevano, non “inclusivizzavano”.
C’è un’Italia che vive ancora così, con la banda davanti e la comunità dietro. È l’Italia dei campanili e delle tavolate, quella che non chiede permesso per essere felice e che non ha paura di sembrare ingenua. Un’Italia che non delega la memoria a un post commemorativo, ma la porta a messa e poi a pranzo.
Gli Stunaa non ci sono più, almeno non tutti. Ma in fondo sono ovunque — ogni volta che qualcuno decide che vale la pena ritrovarsi, fare rumore, e ricordare chi eravamo senza scusarci di esserlo stati.
E se questo vi sembra poco, forse siete voi che avete perso l’orecchio per la musica.










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