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Binari, bandiere e buon senso smarrito: cronache dalla rivolta immaginaria

  • Immagine del redattore: ventisette.info
    ventisette.info
  • 2 ott
  • Tempo di lettura: 3 min

Saronno, ottobre 2025. C’è chi prende il treno per lavorare, chi per tornare a casa, e poi c’è chi ci si stende sopra. Simbolicamente, si intende. È successo ieri a Saronno, per l’ennesima replica di quel teatro dell’assurdo che ormai recita a soggetto in tutta Italia: il corteo pro-Flotilla. Sì, proprio quella Flotilla che si dirigeva verso Gaza e che, secondo alcuni, sarebbe dovuta diventare la nuova Arca della Pace™ – con buona pace di chi confonde i porti con i palcoscenici.


Binari, bandiere e buon senso smarrito: cronache dalla rivolta immaginaria

In città, poche decine di manifestanti – perché a chiamarla “folla” ci vuole fegato – hanno sfilato con bandiere palestinesi e striscioni pronti per Instagram. Il tutto condito da uno slogan che ormai ha la scadenza stampata sopra: “Stop al genocidio – Palestina libera”. Slogan già sentito, bandiere già viste, idee già scadute.


Il corteo si è poi diretto in stazione, perché a quanto pare la rivoluzione non parte più dalle fabbriche ma dai binari. Due treni per Malpensa hanno subito qualche minuto di ritardo, e non perché c’erano problemi tecnici: semplicemente c’era gente che aveva deciso che il modo migliore per “fare pace” era impedire a un povero manager lombardo di prendere il volo per Francoforte. Resistenza, dicono. Mah.


Secondo Massimo Uboldi, referente locale del Movimento 5 Stelle (sì, esistono ancora), “la mobilitazione è stata improvvisa, simbolica e pacifica”. E ci mancherebbe pure. D’altronde, quando non hai un piano preciso, l’improvvisazione è l’unica strategia rimasta. La richiesta, quella ufficiale, è che il governo “garantisca l’incolumità dei cittadini italiani presenti nella Flotilla”. Tradotto: siccome qualcuno ha deciso di imbarcarsi in una missione politica internazionale in acque calde (e non solo in senso climatico), ora il governo deve correre a salvare. E magari dire pure grazie.


La geopolitica spiegata dal bar sotto casa

Ora, intendiamoci: nessuno qui nega il diritto a manifestare. Ma quando la geopolitica viene spiegata con striscioni scritti a pennarello e cori da stadio, forse è il caso di fermarsi un attimo a riflettere. O a leggere almeno un paio di libri. La questione israelo-palestinese è complessa, ma sembra che il dibattito italiano si divida tra chi inneggia alla pace bloccando i treni e chi, più semplicemente, vorrebbe solo tornare a casa senza inciampare in un corteo improvvisato.


Tra Livorno che blocca il porto, Napoli che paralizza la stazione, e Bologna che fa presidio in piazza, verrebbe da chiedersi se davvero tutto questo serva alla causa o non sia, piuttosto, il solito eterno ritorno del “faccio qualcosa purché si veda”. Il “rivoluzionario da sabato pomeriggio”, col flyer stampato in casa e la felpa con la kefiah.


Nel frattempo, Israele – un Paese reale con confini, esercito e interessi di sicurezza – ha fermato una flottiglia diretta a Gaza. Le navi sono state bloccate senza vittime, ma l'indignazione si è comunque accesa. Per alcuni, ogni volta che Israele difende i suoi confini, si tratta automaticamente di “genocidio”. Strano come questa parola venga usata con leggerezza solo in certe direzioni.


C'è chi manifesta. E chi governa.

La verità – che non si può dire ma si può suggerire – è che esiste una parte del Paese che si sente ancora in missione per conto del Bene Assoluto, convinta che basti una bandiera arcobaleno e una camminata sul binario per cambiare il mondo. Ma intanto, chi governa (seriamente), sa bene che certe questioni non si risolvono con un sit-in, ma con diplomazia, fermezza e responsabilità.


Perché è facile gridare “Palestina libera” tra un mojito e l’altro, molto più difficile è capire cosa significhi davvero “libertà” in quei territori. Spoiler: spesso significa ritrovarsi tra Hamas e il nulla.


Dunque, mentre i treni tornano a circolare e i manifestanti tornano a casa (in auto, ovviamente), resta una domanda: è ancora accettabile che la politica estera italiana venga ostaggio di chi confonde la realtà con una diretta TikTok?

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