Benvenuti a Saronno: Porta della città o retroscena di una cartolina che puzza di piscio?
- ventisette.info

- 15 ott
- Tempo di lettura: 2 min
C’era una volta Saronno. Pulita, ordinata, quasi borghese – quella città dove la nonna portava i nipoti a prendere il gelato in centro, e i papà tornavano dal lavoro in treno senza temere di inciampare in un bivacco improvvisato o in una pozzanghera di dubbia provenienza. Poi qualcosa si è rotto. E no, non è stata la pioggia. È stata, forse, quella generica e pericolosa forma di cecità urbana che si chiama “indifferenza” (o peggio: “tolleranza”).

Lo sa bene il cittadino saronnese che ha scritto a ilSaronno, sfogandosi come solo chi ama davvero la propria città può fare. Nato nel 1989 – quando ancora il McDonald’s era una novità e non un rudere post-industriale circondato da bottiglie vuote e ortiche alte un metro – racconta di come il quartiere Santuario sia passato dall’essere una dignitosa porta d’ingresso a... una porta sul retro. Aperta, senza guardiania, e pure maleodorante.
L’ex locale del McDonald’s – per anni diventato una discarica da movida d’accatto – ora è stato “ripulito”, dice. Ma a giudicare dalle erbacce che hanno preso il posto delle bottiglie, viene il dubbio che l’intervento sia stato più un favore all’estetica selvaggia che alla cittadinanza. Perché se la scelta è tra vetro e giungla, forse qualcuno ha perso la bussola dell’urbanistica.
Ma il meglio – o il peggio – deve ancora venire: pali della luce usati come cestini (perché usare quelli veri sarebbe borghese?), parcheggi trasformati in camerini di fortuna, angoli trasformati in orinatoi a cielo aperto anche in pieno giorno. E mentre i bambini giocano vicino al Monumento ai Caduti – simbolo di chi ha dato la vita per un Paese che sapeva distinguere il pubblico dal privato – si forma una piccola palude, perfetta per un safari urbano. Mancano solo i coccodrilli. Per ora.
E tutto questo sotto gli occhi – o meglio: alle spalle – di chi si è riempito la bocca di “quartieri da valorizzare” durante i dibattiti al Giuditta Pasta. Peccato che, finiti gli applausi, nessuno si sia preso la briga di fare due passi fuori dal teatro per guardare dove stanno camminando davvero i cittadini.
Chi denuncia il degrado non lo fa per lamentarsi. Lo fa perché ci tiene. Perché si ricorda che Saronno era – e forse può ancora essere – una città dove crescere i figli senza dover spiegare loro perché certi angoli puzzano, o perché certe facce bivaccano ogni giorno nello stesso punto, come se avessero prenotato con Booking.
Forse è giunto il momento di chiedersi se davvero “l’accoglienza” sia solo una questione di bandiere arcobaleno appese ai balconi. O se, più banalmente, sia questione di rispetto per la casa comune. Una casa che non si sporca, non si svende, e – soprattutto – non si abbandona ai bordi.
Il cittadino saronnese spera che la sua lettera non resti un lamento sterile. E noi, da parte nostra, speriamo che qualcuno – magari con una fascia tricolore addosso – smetta di filosofeggiare sui “diritti di tutti” e ricominci a parlare di doveri di qualcuno. Anche se non fa audience.




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