A Varese il Carroccio ha le ruote sgonfie (e i Vannacciani non aiutano)
- ventisette.info

- 24 ott
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A Varese il vento del Nord pare essersi fermato. E non per colpa del meteo. Il problema è che la Lega – quella che un tempo riempiva le piazze a colpi di bandiere e di “prima il Nord” – oggi sembra più impegnata a litigare con se stessa che a parlare ai cittadini. E nel frattempo, dalle nebbie dei laghi, spunta una nuova truppa: i “vannacciani”.
Che casino, diciamolo chiaro.

Sì, perché in provincia di Varese – cuore storico del leghismo lombardo – la situazione è un perfetto riassunto di ciò che sta succedendo al Carroccio nazionale: percentuali in caduta libera, confusione sui territori, doppioni, scissioni, gazebo contrapposti e comunicati stampa che fanno più male di una sassata.
Da un lato il “Team Vannacci”, con i suoi gazebo patriottici, le camicie stirate e la voglia di “raddrizzare il mondo al contrario”. Dall’altro i leghisti tradizionali, quelli che si chiedono se convenga ancora mettersi il simbolo sul petto o se sia meglio nascondere la felpa sotto la giacca. In mezzo, i cittadini di Varese, che di questa guerra intestina ne farebbero volentieri a meno.
La verità è che così la Lega non va da nessuna parte.
E forse è ora di dirlo: serve un cambio di passo, e anche di testa.
Il ringraziamento (sincero) a Salvini
Matteo Salvini ha fatto tanto, e negarlo sarebbe ridicolo. Ha portato la Lega al 34%, ha governato, ha riportato la destra di governo nel cuore del Paese. Ma ora il motore è ingolfato. E non bastano più le felpe o i selfie per riaccenderlo. Servono idee, progetti, un linguaggio concreto – quello che la gente del Nord capisce: lavoro, sicurezza, tasse, infrastrutture, futuro.
E invece? Ci ritroviamo a Varese con comunicati tra “Team Prealpi”, “Team Insubria”, “Team Laghi” e “Team Bustense”, che sembrano più nomi da tornei di paintball che sigle politiche. Tutti a litigare su chi rappresenti davvero il generale e chi invece cerchi solo un po’ di visibilità.
Il modello veneto, non quello del caos
Forse è tempo di tornare con i piedi per terra. Guardiamo il Veneto, guardiamo Zaia: lì la Lega è rimasta concreta, tangibile, presente sul territorio. Non si perde in faide interne, ma amministra, produce, costruisce consenso con la competenza, non con la polemica.
In provincia di Varese, invece, il Carroccio sembra essersi trasformato in una soap opera. Ogni settimana un nuovo comunicato, una smentita, un gazebo rivale. Mentre la città, Varese, scivola via – sempre più lontana dal suo storico DNA leghista.
Serve una Lega nuova, non un’altra guerra
Che piaccia o no, la stagione del “Capitano” è stata grande. Ma i numeri non mentono, e i voti non si inventano. O si cambia passo, o la Lega rischia di ridursi a una manciata di nostalgici divisi in squadre come in una parodia di “Highlander”: ne rimarrà soltanto uno.
Noi non vogliamo un’altra divisione nel centrodestra, perché il caos dei “vannacciani” serve solo alla sinistra. Ma vogliamo una Lega che torni a fare la Lega. Che torni a parlare chiaro, a occuparsi delle città, delle imprese, delle famiglie, del Nord produttivo che non vuole sentirsi abbandonato.
Il resto – le mimetiche, le interviste, le “bersagliere” e i gazebo – sono folklore.
La politica, quella vera, si fa con una visione, non con le correnti.
E a Varese, più che un nuovo gazebo, servirebbe una nuova direzione.




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